Dallo sbarco a Trapani fino a Monreale

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Nell’estate del 1535, al termine di una breve e fortunata campagna militare, Carlo V d'Asburgo riuscì a conquistare Tunisi e il suo avamposto fortificato, La Goletta, strappandola al controllo dell'ammiraglio ottomano Khayr al-Dīn Barbarossa. Dopo tre lunghi giorni di navigazione, il 20 agosto 1535, Carlo V sbarcò in Sicilia a Trapani, con a seguito le sue truppe e numerosi cristiani liberati dalle prigioni ottomane, insieme ai quali attraverserà longitudinalmente l'isola. All'epoca Trapani contava circa 15.000 abitanti e veniva definita la "chiave del regno": il suo porto brulicava di gente, affari, scambi commerciali e militari. A Trapani l'Imperatore sostò alcuni giorni, alloggiando nel vecchio palazzo dei Chiaramonte, poi Pepoli, situato di fronte alla chiesa di San Nicola, che per questa ragione conservò a lungo lo stemma imperiale. Carlo V confermò tutti i privilegi della città con un solenne giuramento nella cattedrale. La conferma dei privilegi che le comunità o i singoli gruppi sociali possedevano da tempo costituiva un atto di grande rilevanza politica con significative ricadute di carattere sociale ed economico; non a caso, quindi, esso si ripeterà nel corso del viaggio, attraverso lo svolgimento di solenni cerimonie pubbliche attentamente codificate anche in altre città dell'isola.
Lasciata Trapani, il 1 settembre 1535, Carlo V raggiunse Alcamo, popolosa città feudale, nella quale trascorse due notti nell'imponente castello, edificato nel Trecento, per poi ripartire il 3 settembre 1535. Il corteo imperiale si diresse quindi verso Palermo: a quel tempo, la strada principale toccava Partinico e "tagliava" attraverso i monti che circondano la città. Questo percorso era preferito rispetto a quello costiero perché più breve e al sicuro dagli attacchi dei pirati. Nel bosco di Partinico, allora un villaggio di poche decine di case situato in un'area altrettanto scarsamente popolata, Carlo V incontrò una delegazione guidata dal presidente del Regno di Sicilia, Simone Ventimiglia, e composta da un folto gruppo di baroni, nobili e magistrati palermitani, partiti dalla capitale per rendergli omaggio. Successivamente, l'Imperatore fece tappa a Monreale, all'epoca un piccolo centro di circa 4.000 abitanti che ruotava intorno all'abbazia e al Duomo, splendente nell'oro dei suoi mosaici e delle sue imponenti absidi.
Il soggiorno a Palermo e la via dell'entroterra

Ricostruzione del percorso di Carlo V da Palermo a Randazzo realizzata tramite il software Komoot. Vuoi provare a seguire i suoi passi? Scopri il nostro itinerario.
La sosta a Monreale serviva a preparare l’arrivo nella capitale Palermo. Il trionfale ingresso in città avvenne il 13 settembre 1535 dalla medievale Porta Nuova, per l’occasione ornata di ghirlande e scritte che celebravano il sovrano e le sue vittorie militari; il corteo imperiale proseguì per il Cassaro, la più antica strada della città, e raggiunse la cattedrale; drappi rossi e gialli ornavano le abitazioni nobiliari, abbellite per l’occasione. All’altezza della chiesa di Sant’Antonio Abate, il corteo si inoltrò verso il cuore della città mercantile sino a piazza San Francesco, fulcro della magnifica cerimonia. L’edificio che accolse l’Imperatore fu Palazzo Ajutamicristo, di stile spagnolo e tra i più sontuosi della città: durante le giornate palermitane gli impegni politici furono molti e non solo… Carlo V visse come un siciliano, visitò i monumenti, volle conoscere e restò colpito dalle usanze di una città seducente e cosmopolita, partecipò a giostre, tornei e spettacoli intervallati dalle udienze concesse a Palazzo Chiaramonte Steri. La folla lo salutò festante dalla Porta Termini e dal Ponte dell’Ammiraglio quando lasciò la città il 14 ottobre 1535, dopo circa un mese di soggiorno.
Prima di dirigersi verso Messina, secondo la tradizione, si fermò a fare un bagno alle terme di Termini Imerese, di cui già allora si conoscevano le proprietà terapeutiche. Anche per raggiungere il centro peloritano si poteva percorrere la strada costiera o quella tra i monti. Si scelse la seconda e il disagio del cammino fu ricompensato dalla visita ai centri delle Madonie come Polizzi Generosa, Petralia Sottana e Soprana, e Gangi, dove transitò tra l’ardore dalla gente del luogo. Raggiunta Nicosia fu accolto presso la Porta Palermo da quattro giurati della città; poi attraversò la città «su generoso destriero assiso e in regal veste incedendo», sempre immerso nell’entusiasmo popolare. Il 17 ottobre 1535, il corteo imperiale arrivò a Troina, dove la storia si intreccia con la tradizione: si narra infatti che tre cavalieri a cavallo percorsero lo strettissimo corso Ruggero, gremito di folla, con in mano dei fiori e sulla spalla una bisaccia colma di torrone con mandorle, sesamo e miele tagliato a piccoli pezzi. Lasciata Troina, Carlo V sostò presso l’abbazia di Maniace e si diresse verso la piccola ma prestigiosa Randazzo. Nell’antico palazzo reale aragonese, l’Imperatore salutò commosso la folla festante pronunciando la celebre fase: «Siete tutti cavalieri!». A nessuno, dopo di lui, fu concesso di affacciarsi da quella finestra, bloccando quel gesto in un frammento di eternità.
Dall'Alcantara a Messina lungo la costa ionica

Ricostruzione del percorso di Carlo V dall’Alcantara a Messina realizzata tramite il software Komoot. Vuoi provare a seguire i suoi passi? Scopri il nostro itinerario.
Il viaggio del corteo imperiale prosegui lungo la valle dell’Alcantara e nei pressi di uno dei suoi laghetti, detti gurne, Carlo V uccise un’anatra: da allora quel luogo si chiama Gurna dell’Imperatore. La tappa successiva fu Taormina, racchiusa nelle sue mura medievali, imperdibile nella sua bellezze allora come oggi. Il 19 o il 20 ottobre (gli storici non concordano sulla data) il corteo ripartì alla volta di Messina seguendo la costa ionica. Sostarono brevemente al castello di Sant’Alessio, nel quale giunsero dopo aver affrontato una faticosa salita. Il prosieguo del percorso non fu semplice a causa delle ripide pendici dei Peloritani, che in più punti giungono fino al mare obbligando a spostarsi lungo l’arenile, e dei letti delle fiumare che da essi discendevano. Le difficoltà logistiche e, soprattutto, la necessità di preparare degnamente il trionfale ingresso a Messina, imposero un’ulteriore sosta, dal 20 al 22 ottobre 1535, al monastero di San Placido Calonerò. Il sovrano e il suo seguito contavano di riposare e rilassarsi brevemente dopo le fatiche del viaggio; così non fu poiché durante un violento temporale un fulmine uccise, si narra alla presenza dell’Imperatore, un valletto del suo seguito, il quale venne sepolto l’indomani nel cimitero del cenobio. A ricordo del soggiorno di Carlo V, l’abate dell’epoca fece realizzare un busto dell’Imperatore, tutt’oggi intatto.
La Messina nella quale arrivò Carlo V era una città ricca, tra i più popolosi centri abitati italiani dell’epoca. Per l’arrivo dell’Imperatore, il pittore Polidoro da Caravaggio e il matematico Francesco Maurolico fecero realizzare tre archi trionfali con i simboli a lui più cari: l’edera, l’ulivo e l’alloro, che rappresentavano rispettivamente la concordia, la pace e la vittoria. I banditori precedevano il corteo invitando le migliaia di cittadini accorsi ad acclamare il sovrano, incontro al quale andarono le autorità civili e religiose della città. Il corteo, diretto in cattedrale, fu accompagnato da due spettacolari carri trionfali allegorici che celebravano la gloria, la potenza e la virtù dell’Imperatore sul cui regno non tramontava il sole. L’indomani, il 23 ottobre 1535, Carlo V partecipò alla messa solenne ricevendo in dono due bacili d’argento contenenti 10.000 scudi d’oro con le armi della città. Nei giorni seguenti, l’Imperatore confermò i privilegi delle città di Messina, Randazzo e Troina, diede disposizioni per la repressione del brigantaggio, nominò il nuovo viceré dell’isola nella persona di Ferrante di Gonzaga e autorizzò i cittadini di Lentini a fondare una città, edificata nel 1551 e che, in suo onore, venne chiamata Carlentini; ascoltò gli esponenti della ricca borghesia mercantile e della nobiltà cittadina, soppesando le invide e i rancori e, alla fine, decise di non mutare alcunché nell’assegnazione dei pubblici uffici.
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